lunedì 17 gennaio 2011

Orgoglio e indifferenza

Prima di iniziare la mia giornata di lavoro a volte scorro qualcuna delle storie del blog di Aldo Mencaraglia, l'ormai mitico Italiansinfugacon la convinzione che prima o poi la curiosità di sapere cosa c'è al di là del mare e delle Alpi, avrà il sopravvento. Un giorno mi vedo in Australia, un altro a Londra, un altro ancora a New York. Vedo i figli che verranno crescere in un paese che può offrir loro un futuro importante. O almeno dignitoso.

Se posso farmi questi "film" è perchè sono un uomo libero. Libero di scegliere, di pensare, di pregare, di muovermi e di vivere come e dove voglio.

Dopo l'esperienza vissuta negli ultimi giorni, stamattina non ho potuto non domandarmi come sarebbe, se non fosse così.

La settimana scorsa, la mia compagna mi ha raccontato di aver sbirciato attraverso il cancello dell'ex ambasciata somala di via dei villini a Roma e di aver intravisto una situazione a poco caotica.
L'animo del reporter non ha resistito. Prendo la mia reflex e mi dirigo verso Porta Pia.

Ambasciata Somala.
Via dei Villini, Roma.
Il bellissimo edificio in stile liberty è abbandonato da quasi vent'anni ed è oggi il riparo di 150 profughi della guerra civile in Somalia. Niente luce, niente gas. Ogni tanto acqua corrente.

Le condizioni in cui questi uomini (nell'edificio non ci sono donne e bambini) sono costretti a vivere, sono letteralmente disumane.

Mai avrei mai immaginato che in Italia, a Roma, in una delle strade più belle della capitale, potesse esistere uno dei gironi dell'inferno. 
Invece è così.




Varco con qualche timore il cancello dell'ambasciata, per cercare di capire cosa accade lì dentro, alla ricerca di una storia da raccontare con le mie immagini.


Hassan
La diffidenza iniziale dei padroni di casa, diventa subito un'incredibile accoglienza. Tanti sorrisi, tante mani da stringere, tante storie che si intrecciano. 

La maggior parte di loro è scappata da un paese ormai allo sbando che, dopo la caduta di Siad Barre, non è più riuscito a rimettersi in piedi, dilaniato da una guerra civile che dura da ormai vent'anni.


I locali, devastati dalla sporcizia e dall'umidità, sono occupati da materassi e da montagne di abiti, scarpe, vestiti,  dove i rifugiati, i ratti e gli scarafaggi, loro coinquilini, sono costretti a vivere in una condizione ben al di sotto di qualsiasi forma di dignità umana e dove le condizioni igienico-sanitarie sono a dir poco disastrose. 


Una delle stanze dell'Ambasciata.
Il bagno

I bagni all'interno (ce n'è anche uno in giardino, per gli amanti della natura) sono in condizioni indescrivibili e l'odore che si avverte nell'avvicinarsi costringerebbe chiunque a sentirsi l'uomo più fortunato del mondo, tornando a casa propria. 
Trattenendo il respiro, continua il nostro giro ed ogni tanto di apre una porta, illuminando dei corridoi tremendamente bui, dove il pavimento si flette in modo preoccupante ad ogni mio passo, ed appare un viso: "Ciao!". Una faccia assonnata ma sorridente saluta ed invita ad entrare.

Nonostante l'ospitalità, trattenersi lì dentro è difficile. 

Un pò per lo shock, un pò per altri impegni che non potevo rimandare, decido quindi di ritornare con più calma più avanti, magari portando loro qualcosa da mangiare. Scatolame, pane, marmellata, cornetti. Cibo pronto ed il più possibile calorico, che non necessiti cottura e che possa essere facilmente diviso tra tutti loro.

Domenica mattina entro per la seconda volta in quel girone dell'inferno, con meno timori e intenzionato a trattenermi più a lungo. 
Mi presentano Hassan, un ragazzo simpatico e sorridente, che propone a me ed all'amico che aveva deciso di accompagnarmi un altro giro "turistico" dello stabile (qui potrete trovare il reportage completo). 

Lo sgomento del guardarsi attorno non può che essere lo stesso della volta precedente ma l'accoglienza è ancora migliore. Passiamo insieme qualche ora a chiacchierare in italiano (che per ovvi motivi storici conoscono piuttosto bene) e in un inglese che parlano con una proprietà sorprendente. 

Ci raccontano un pò delle loro storie, che hanno a tratti dell'incredibile, e ci ringraziano per le vivande che gli abbiamo portato, spiegandoci però che la cosa che per loro conta di più è l'alcool. Infatti, per la cottura degli alimenti, i rifugiati utilizzano dei fornellini improvvisati, in spazi angusti e vicino a materiali facilmente infiammabili. 
Una scintilla di troppo e sarebbe tragedia. 

Ibrahim fruga tra le valigie accatastate nella sua stanza e tira fuori alcune vecchie riviste, che raccontano storie del loro paese,  lontane nello spazio e nel tempo. 

Ci mostra un video, sul suo telefonino, in cui si vedono alcuni di loro che cercano di prendere il largo dalle coste libiche, a bordo della solita bagnarola, quando all'improvviso arrivano dei poliziotti libici dando vita al caos. Botte, spari, il fuggi fuggi generale ed alcuni arresti. 
Racconta che da quelle carceri, si esce solo pagando 700 dollari e ridono indicando uno di loro, che è stato fortunato perchè ne ha pagati solo 500.


Con il passare dei minuti, aumenta la confidenza. Si ride, si scherza e si comincia a parlare della loro vita di tutti i giorni. Di come fanno il caffè, di come si lavano i denti, di come lavano i panni.
Più parlano, più mi rendo conto di quanto molti dei nostri problemi di tutti i giorni siano in realtà inesistenti. In quegli istanti penso che il detto di Ludwig Mies, che solitamente sentivo riferito alla all'arte ed alla fotografia, ha molto senso anche nella vita di tutti i giorni: Less is more. Forse è davvero così.
Lo spazzolino da denti di Ibrahim
Si è fatto tardi. Ci scambiamo i numeri dei cellulari, salutiamo i nostri nuovi amici e ci dirigiamo verso il nostro mondo, al di là di quel cancello.

La senzazione nel dirigersi verso casa è forte. Un pò di disagio, un pò di sollievo. Difficile da spiegare con le parole. 
Forse ciò che rende meglio l'idea è che ci sentivamo fortunati, incredibilmente fortunati.

A costo di essere retorico, credo sia necessario concludere che faremmo bene a non dare mai per scontato tutto ciò che abbiamo: in poco tempo, potrebbe cambiare tutto.
Per loro è stato così.

2 commenti:

Alessandra ha detto...

incredibile....ma chi ha autorizzato la "trasformazione" dell'ambasciata??? e nessuno a Roma a pensato di aiutarli?
Daniele, come al solito complimenti per le parole e gli scatti.

Alessandra P.

Daniele Butera ha detto...

La trasformazione dell'ambasciata, da quanto ne so, è avvenuta lentamente nel tempo, dopo che è stata abbandonata...
Il governo italiano accetta l'ingresso di queste persone, in quanto rifugiati di guerra/politici, ma non si preoccupa di dare loro una sistemazione una volta entrati in Italia. Nei documenti d'ingresso che danno loro, c'è l'indirizzo dell'ambasciata...e...punto.
Cosa succede dopo? Problemi loro...
E' una vergogna, per un paese che storicamente è sempre stato aperto ed accogliente, che possano ancora avvenire cose del genere.
Grazie mille Ale per il tuo apprezzamento.
A presto

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